Kafala: lavori in corso al Parlamento per attuare la convenzione in vigore

Il 1 gennaio 2016 è entrata in vigore in Italia la “Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996”. La ratifica della Convenzione in esame è avvenuta con la legge 8 giugno 2015, n. 101, pubblicata in GU già nel luglio 2015 e lascia aperti numerosi interrogativi, in particolare relativamente alla kafala, ovvero l’istituto giuridico in uso nei Paesi islamici per tutelare e proteggere i minori abbandonati o in difficoltà.

Al momento è in attesa di esame al Senato una proposta di legge (DDL 1552-bis “Norme di adeguamento dell’ordinamento interno alla Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996”) che contiene disposizioni specifiche volte a regolamentare nel dettaglio i presupposti e gli effetti del riconoscimento dei provvedimenti pronunciati all’estero. Lo stralcio è dedicato alle procedure da seguire per il collocamento del minore straniero che non si trova in una situazione di abbandono. In particolare, lo studio parte dalla constatazione che nei Paesi che seguono “i precetti coranici non esiste rapporto di filiazione diverso dal legame biologico di discendenza che derivi da un rapporto sessuale lecito” e non è ammessa l’adozione.

Negli anni passati il Governo italiano ha sempre avuto un atteggiamento di “chiusura” nei confronti del riconoscimento dei provvedimenti di kafala (in particolare il Ministero degli Affari Esteri rispetto alle domande di visto per ricongiungimento), tanto che è sempre stata la giurisprudenza, in seguito ai ricorsi degli interessati, a dichiarare in più pronunce il diritto al visto per ricongiungimento per kafala, che in sede amministrativa era stato negato.

Nel diritto islamico la pratica dell’adozione è vietata.
La motivazione di tale divieto sta nel fatto che si tende così a “preservare”,e sicuramente a dare precedenza,a quelli che sono i legami di sangue tra i genitori e la prole.

 

In che modo dunque i Paesi musulmani garantiscono una protezione sostitutiva della famiglia ai minori privi di genitori? Con la kafala.
La kafala è un istituto giuridico che, preso dal diritto commerciale in cui è noto come fideiussione,è stato applicato alla tutela dei minori per esprimere l’atto con cui qualcuno,firmando un contratto,si impegna ad assumersi tutti gli oneri morali ed economici di un minore che è senza tutela,facendo le veci dei genitori del bambino o della bambina in questione.
La kafala viene spesso equiparata sia all’affido che all’adozione ma,a conti fatti, differisce molto da entrambe perché a differenza dell’affido che può avere una durata massima di due anni, e dell’adozione che ha durata solitamente illimitata e crea rapporti di filiazione tra l’adottante e l’adottato, la kafala dura fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età del makful (minore), ma questi non può prendere il cognome del kafil (l’affidatario), né derivare da lui vocazione ereditaria poiché, con la kafala, il minore non recide i rapporti con la famiglia d’origine.

Poiché il nostro ordinamento non prevede l’istituto della kafala, si riscontrano numerosi problemi nel riconoscimento di provvedimenti giudiziari stranieri in Italia relativi a questo istituto.

Al momento quindi siamo nella situazione in cui il Parlamento andrebbe sollecitato rispetto a questi lavori. È il Parlamento che ha la responsabilità di fare in modo che le norme della Convenzione, specie in tema di kafala, vengano rese compatibili con la legge 184/1983 e gli istituti di protezione dei minorenni già esistenti in Italia e soprattutto compatibili con il superiore interesse dei bambini stessi.