L’affare Harroudj

La Francia ha introdotto il divieto di adozione di un minore quando uno o entrambi i coniugi abbiano la nazionalità di un Paese la cui legge vieti espressamente l’adozione. Se invece risiedono in Francia e la loro unione è regolata dal diritto francese, l’adozione può essere pronunciata anche nei confronti di un minore sottoposto a kafala, purché si tratti di minore nato e residente in Francia.

Con l’affaire Harroudj vs Francia la CEDU è stata investita del compito di decidere del ricorso di una cittadina francese la quale, ottenuto un provvedimento di affidamento di una minore con kafala in Algeria, si era vista successivamente negare la richiesta di adozione dal Tribunale di Lione. La Corte ha chiarito che il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU non garantisce il diritto alla famiglia o il diritto all’adozione, ma si riferisce alla tutela dell’individuo dalle eventuali ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici.

La Corte riconosce che non potendo ottenere l’adozione il minore non può rivendicare diritti successori e non può ottenere la cittadinanza ma, considerando che gli Stati hanno un ampio margine di discrezionalità nell’ambito di applicazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8 della Convenzione), si può concludere che la Francia ha rispettato la Convenzione.

Quindi, un’imperfetta coincidenza di modelli giuridici, che però non dovrebbe impedire agli interpreti di garantire la riconoscibilità della kafala, al fine di assicurare il supremo interesse del minore. La natura di questo sistema attribuisce infatti una pesante responsabilità ai giuristi, chiamati non solo a scegliere quale regime processuale applicare, ma soprattutto a stimolare l’evoluzione coscienziosa e razionale dell’intero sistema.